Le nuove norme si innestano nel codice del consumo e stabiliscono che la nuova azione è appannaggio delle associazioni dei consumatori e di altri organismi pubblici specificamente individuati, comprese le autorità pubbliche preposte alla tutela del consumatore. Mediante la “rappresentativa” gli enti legittimati possono sperare di ottenere dal giudice la cessazione della condotta illecita e/o rimedi di tipo compensativo a favore dei consumatori danneggiati. La dinamica processuale di queste azioni rappresentative riproduce quella dell’azione di classe e dell’azione inibitoria collettiva previste dal Codice di procedura civile.

Taglio del nastro fissato al 25 giugno 2023 per le azioni rappresentative.

Peraltro, queste particolari class action muovono i primi passi in un panorama fitto di incertezze operative e costringono le imprese e i professionisti a pianificare un’alzata degli scudi difensivi, considerato che le azioni rappresentative possono essere promosse anche da autorità pubbliche preposte alla tutela del consumatore.
Il blocco normativo di riferimento è costituito, vale la pena di rammentarlo, dal D.Lgs. n. 28/2023, che ha recepito la direttiva 2020/1828.
In ogni caso, dal 25 giugno 2023 saranno applicabili le disposizioni del D.Lgs. n 28/2023, ancorché in una condizione di indeterminatezza.
A riguardo degli effetti sostanziali del ricorso introduttivo dell’azione rappresentativa rispetto ai consumatori (interruzione della prescrizione, impedimento della decadenza), questi effetti si realizzeranno in relazione alle azioni tese ad ottenere provvedimenti compensativi per violazioni poste in essere a partire dal 25 giugno 2023.
Il D.Lgs. n. 28/2023 ha scelto di innestare le azioni rappresentative nel codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), probabilmente seguendo la suggestione proiettata dal fatto che l’obiettivo dell’azione rappresentativa è la tutela degli interessi collettivi dei consumatori nei casi di violazioni di norme del diritto europeo, commesse da professionisti elencate in un lungo allegato al codice del consumo (il numero II-septies).
In effetti, la nuova azione è appannaggio delle associazioni dei consumatori e di altri organismi pubblici specificamente individuati (questi ultimi, tra l’altro, immersi giocoforza in un conflitto di interesse tanto prevedibile quanto disinvoltamente minimizzato).
Mediante la “rappresentativa” gli enti legittimati possono sperare di ottenere dal giudice la cessazione della condotta illecita e/o rimedi di tipo compensativo a favore dei consumatori danneggiati.
La dinamica processuale di queste azioni rappresentative riproduce quella dell’azione di classe e dell’azione inibitoria collettiva previste dal Codice di procedura civile.
Ciò nonostante, la preferenza del legislatore italiano (incastrare l’azione rappresentativa nel Codice del consumo, spalmandola nei nuovi articoli da 140-ter a 140-quaterdecies,) ha disegnato un binario parallelo rispetto a quello tracciato dall’azione di classe e all’azione inibitoria collettiva, ma senza rinunciare a spiluccare regole di rito dai procedimenti collettivi del Codice di procedura civile.
In linea di pura teoria, dunque, ci sono due ambiti:
1) il gruppo di materie delle azioni rappresentative riservate ad associazioni/enti;
2) le altre materie delle azioni di classe, per le quali la legittimazione attiva è estesa ai singoli consumatori, ma è disponibile anche alle associazioni consumeristiche.
Peraltro, mentre si nota che l’ambito tematico delle azioni rappresentative hai i contorni frastagliati, nella prassi le associazioni, per ragioni di opportunità pratica, a proposito di vicende che coinvolgono consumatori, probabilmente opteranno per la “rappresentativa” per minimizzare i rischi di incidenti processuali.
D’altra parte, un singolo consumatore potrebbe promuovere un’azione di classe in materie comprese nell’elenco delle “rappresentative”: così avremo due fonti per due azioni a fronte di stesse materie.
Tuttavia, i riti (della rappresentativa e della class action) sono simili e, veramente, c’è da sperare che la confusione rimanga solo nelle speculazioni dei commentatori, senza influenzare il bisogno di semplificazione coltivato nella prassi da tutti gli interlocutori.
Superando, senza voltarsi indietro, questi intrecci gratuitamente pericolosi, è certamente un’affermazione, con cui fare i conti, quella per cui per le “violazioni delle disposizioni di cui all’allegato II-septies (al codice del consumo), che ledono o possono ledere interessi collettivi dei consumatori” alle quali sono applicabili le disposizioni del Codice del consumo sulle azioni rappresentative, “gli enti legittimati non possono agire con l’azione di classe” disciplinata dal Codice di procedura civile.
È, conseguentemente, un fatto che l’azione rappresentativa è l’unica a disposizione dagli enti legittimati a tutela degli interessi collettivi dei consumatori per le violazioni nelle materie comprese nell’allegato II-septies.
Ed è sempre un fatto che al consumatore, per il quale è fatta espressamente salva l’azione individuale, non è esplicitamente vietato di esperire una class action nelle materie suscettibili di essere oggetto di azione rappresentativa.
Ciò potrebbe portare alla moltiplicazione di azioni su tavoli separati, con la frustrazione dell’obiettivo (tipico delle azioni di classe e delle azioni plurisoggettive in genere) di eliminazione del contenzioso plurimo o peggio seriale e con l’immediata questione di come garantire (nelle vicende processuali concrete) armonia e scongiurare giudicati parzialmente o integralmente contradditori.
All’azione rappresentativa sono, poi, imputabili rilievi sulla complessità del doppio turno delle adesioni dei consumatori (dopo l’ordinanza di ammissibilità dell’azione e dopo la sentenza) e della possibile sperequazione derivante dall’obbligo per l’impresa/professionista soccombente di versare all’avvocato della controparte e al rappresentante comune degli aderenti compensi ulteriori rispetto alle somme dovute ai singoli consumatori a titolo di risarcimento e restituzione.
Sotto il profilo strettamente processuale è da evidenziare l’impostazione di voluta discriminazione della cosiddetta parte forte (impresa/professionista) a proposito dell’obbligo di versare in giudizio prove contra se. Si accetta, in nome della parità sostanziale una regola che potremmo chiamare “il paradosso di Golia”, ovvero la regola che codifica privilegi a favore della cosiddetta parte debole e scolpisce una strutturale disparità, dettata da innegabile pregiudizio valoriale, verso la cosiddetta parte forte, costretta a subire una riduzione della posizione e a dare un vantaggio al suo avversario.
Il paradosso è l’attribuzione della legittimazione a proporre le azioni rappresentativa ad alcuni organismi (le autorità amministrative indipendenti preposte all’applicazione delle norme a tutela dei consumatori), i quali sono anche autorità pubbliche con compiti ispettivi e di regolamentazione di un settore: è come se l’arbitro smettesse i panni di terzo e indossasse una divisa per scendere in campo e competere contro uno dei giocatori del torneo.
All’interno del descritto quadrante normativo, l’azione rappresentativa farà il suo esordio e si vedrà se produrrà numeri significativi o se rimarrà al palo, come è finora successo alla class action.
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