La Riforma della legge Fallimentare

Il Concordato preventivo: nuovi sviluppi

La legge delega sulla riforma della legge fallimentare, aspira a una riforma organica che modifichi in modo determinante alcuni istituti previsti nella norma ed in particolare la portata e la struttura del concordato preventivo.

Tale modifica è ispirata al criterio di voler rimediare alla situazione verificatasi negli anni precedenti; ciò per il fatto che la procedura concordataria è stata oggetto, negli ultimi anni, di numerose integrazioni e revisioni, che molto spesso sono state contraddittorie tra loro. Tale situazione ha comportato conseguentemente delle scelte in contrasto con alcune modifiche significative effettuate nel corso degli anni.

I principi ispiratori sono i seguenti: anzitutto si vuole riordinare la disciplina del concordato preventivo, privilegiando soluzioni che mirino alla conservazione dell’impresa anziché alla liquidazione delle sue componenti. Ciò viene fatto cercando di disincentivare il concordato preventivo di natura liquidatoria e prevedendo che possa essere proposto solo se ricorrano due requisiti: da un lato l’apporto di risorse esterne, da parte di terzi che consentano in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori concorsuali e, dall’altro, che venga garantito il riconoscimento almeno del 20% dei debiti chirografari.

La necessità di un apporto esterno che consenta un apprezzabile miglioramento della soddisfazione dei creditori chirografari potrebbe tuttavia aver due risvolti contraddittori; da un lato rivelarsi determinante in concordati con un modesto attivo disponibile. Dall’altro lato vi sarebbe la tendenza invece a penalizzare i concordati preventivi più “ricchi”, dove un apporto di finanza esterna anche rilevante potrebbe risultare ininfluente.

E’ altrettanto importante l’obbligo di riconoscere ai chirografari una sicura percentuale minima di soddisfazione, già presente nella disciplina attuale, ma che con la riforma potrebbe apparire poco giustificabile qualora l’apporto esterno possa rendere il concordato molto conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale dell’impresa, pur senza raggiungere la soglia minima del 20 per cento.

Un altro aspetto è il cd. test sulla fallibilità,  attraverso diverse modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità giuridica ed economica del piano. Tale previsione ridarebbe un ambito discrezionale rilevante al Tribunale, aumentandone la competenza oltre quello che fino ad oggi la giurisprudenza di Cassazione aveva limitato alla “sola” fattibilità giuridica dell’impresa.

La riforma vuole anche incidere in modo rilevante sul rapporto tra l’imprenditore in crisi ed i professionisti (anche per quanto riguarda i crediti dell’attestatore) che assistono l’impresa nell’accesso alla procedura di concordato, i cui compensi dovranno essere limitati a una percentuale dell’attivo e del passivo aziendale stabilita dai decreti attuativi.
La norma implica chiaramente la volontà di impedire che nelle procedure di minori dimensioni, l’attivo fallimentare, sia eroso dai costi professionali per l’accesso al concordato. La norma infatti si propone di prevedere  che i compensi dei professionisti sorti in funzione del deposito della domanda di concordato siano prededucibili solo qualora la procedura sia aperta con il decreto ex art. 163 L.F.. In mancanza i crediti dei professionisti saranno ritenuti concorsuali.
Certamente tale norma penalizza i professionisti dell’imprenditore considerando che per tutti gli altri debiti sorti nel medesimo periodo la prededuzione è garantita dall’articolo 161 settimo comma L.F..

Avv. Vincenzo Messina

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